Art Healing – Il discorso del re, ovvero il rapporto con il coach
Art Healing di questa settimana è #cinema: The King’s Speech, di Tom Hooper (titolo in italiano: Il discorso del re).
Inauguro questo nuovo spazio con un film che racconta la storia vera di Re Giorgio VI (Colin Firth) ed il suo logopedista Lionel (Geoffrey Rush): un re e un dottore, entrambi tali per caso.
Re Giorgio VI (padre dell’attuale regina Elisabetta) sale al trono in seguito all’abdicazione del fratello a causa di una relazione, che poi s’è concretizzata in matrimonio, con una donna divorziata.
Il problema di Giorgio VI non è tanto il timore di guidare fisicamente una nazione verso l’ingresso della seconda guerra mondiale, quanto più quello di comunicarlo. Il re, infatti, soffre di una forte balbuzie fin dall’infanzia e nonostante tutte le cure tentate, questo disagio non sembra sopirsi in alcuna maniera. La moglie Elisabetta (Helena Bonham Carter), forte di una delicatezza disarmante, trova Lionell. Un logopedista decisamente sopra le righe che, attraverso la convinzione che per curare la balbuzie sia necessario considerare non solo il corpo, ma anche l’anima del Re, riesce a far uscire la voce del governante. Attorno a questa vicenda dal sapore intimo e personale corre la storia di una nazione alle prese con l’ascesa di Hitler e della nascita della BBC la quale cambia completamente il modo di concepire la figura di un imperatore e della relativa comunicazione.
Si potrebbero fare lunghissimi discorsi sulla sceneggiatura, sulla fotografia e sull’interpretazione di un cast meraviglioso, ma lasciamo agli intenditori le considerazioni in merito; propongo questo film, in questa sede, per il rapporto tra Bertie (il re) e Lionel (il logopedista).
Fin dalle prime battute tra i due, infatti, viene instaurato una comunicazione totalmente alla pari, così come Lionel pretende per potersi prendere cura del proprio cliente. Questa relazione permette a Bertie di iniziare a considerare che non sia possibile curare la balbuzie come fosse un raffreddore, ma che occorra impegno, convinzione e un lavoro di introspezione che preveda una profonda messa in discussione; se questo è difficile per un uomo qualsiasi, figuriamoci per un governante abituato a vivere in modo intimo, discreto e totalmente privato ogni singolo dolore.
Il film presenta, da un lato, in modo chiaro come sia sempre necessario e imprescindibile considerare la persona in tutto il suo essere per la risoluzione sia di un profondo disagio, ma anche delle piccole sfide di ogni giorno; dall’altro invece fornisce un’idea precisa su quello che dovrebbe essere il rapporto tra coach e coachee, ovvero un rapporto assolutamente alla pari, di completa fiducia reciproca in modo tale che il coach possa essere un concreto facilitatore di tutte le scelte che il coachee sceglie in modo autonomo.
Non meno rilevante è il messaggio circa l’importanza della comunicazione, soprattutto in contesti drammatici come una grande guerra; il film sfrutta la nascita della BBC per mettere in luce quanto, effettivamente, sia stato importante per il popolo e la reggenza, un canale comunicativo che permettesse alle “voci dei grandi” di entrare in tutte le case del regno.
L’esigenza del dire qualcosa di utile, qualcosa di rassicurante, diventa un problema da risolvere velocemente, nonostante si provenisse da un mondo in cui bastava una bella uniforme, un cavallo e uno sguardo fiero. L’immagine non è più sufficiente, perché per entrare nelle case delle persone serve la voce.
Cast: Colin Firth, Anthony Andrews, Derek Jacobi, Jennifer Ehle, Timothy Spall, Michael Gambon, Guy Pearce, Helena Bonham Carter, Geoffrey Rush, Eve Best. Regia: Tom Hooper. Distribuzione: Eagle Pictures. Durata: 118′. Produzione: See Saw Films, Bedlam Productions. Sceneggiatura: David Seidler. Fotografia: Danny Cohen. Scenografie: Eve Stewart. Montaggio: Tariq Anwar. Costumi: Jenny Beavan. Musiche: Alexandre Desplat
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