ALLA RICERCA DELLA FELICITÀ
Sì, siamo stati creati per essere felici e quanto lo siamo in realtà?
Soprattutto quanto siamo condizionati dall’idea di felicità che il mondo ci propina?
Ecco, l’ho detto. Sono certa che, mentre è vero che la nostra anima è nata per essere felice e si è incarnata nel corpo con lo scopo di fare esperienza della vita, non sono per niente convinta che la felicità sia fatta da “famiglie del mulino bianco” piuttosto che da “pensieri felici”.
Credo piuttosto che le esperienze che facciamo e che rendono un’anima “spessa” spazino a 360° nello spettro delle emozioni. Credo che se qualcosa non mi piace e non mi va io debba fare e non pensare qualcosa per cambiare le cose. Credo, al di là del fatto che ci siano prove storiche, che il cosiddetto pensiero positivo acritico e non consapevole sia un’arma nelle mani di chi ci vuole addormentati.
Sono arrabbiata, capita anche a me.
Oserei dire quasi infuriata perché incontro sempre più persone, donne in particolare – forse si tratta del fatto che solo da poco tempo nei corsi di crescita personale e spirituale gli uomini non sono più un’eccezione – che si sentono colpevoli di non essere all’altezza degli “stati” che leggono sui social, non sono abbastanza felici o interessanti, mentre il mondo virtuale con cui hanno sempre più a che fare sembra essere perfetto la loro vita non assomiglia affatto alla moodboard della scrivania dell’amica. Tutto questo non riguarda solo il mondo virtuale ma anche quello reale, come le mamme che si sentono frustrate per non riuscire a preparare il dolce perfetto o la cup-cakeper la colazione del mattino.
L’esempio concreto mi viene da una cliente in crisi perché dice di non sentire emozioni, ne parla scoraggiata, triste, sotto sotto c’è rabbia nel trovarsi in un gruppo di donne con aspirazioni comuni in cui tutte sembrano condividere momenti di crescita, di grande gioia e fascinazione mentre lei non sente nessuna di queste emozioni. L’equivalenza per lei è immediata: “Se non sento belle emozioni come loro allora non sento nulla. Non sono brava. Non ho emozioni. Non valgo.”
Alla mia domanda: “La rabbia, la tristezza, la frustrazione non sono emozioni? È proprio vero che non senti nulla o forse non senti quello che sembrano sentire le altre?”, le si apre finalmente uno spiraglio nel muro che ha costruito per impedirsi di comprendere quanto le emozioni negative, i fatti che non le piacciono possono essere formativi e non in modo passivo ma attivo.
Il negativo della vita non deve essere accettato ma
utilizzato come punto di partenza per il nostro miglioramento.
utilizzato come punto di partenza per il nostro miglioramento.
Se ciascuno guarda dentro di sé e valuta da cosa ha preso il via ogni vero e grande progresso della propria vita difficilmente troverà momenti di felicità estrema ma piuttosto momenti di disagio, troverà dentro di sé quell’attimo di consapevolezza di non vivere nel modo che voleva, scoprirà la paura o addirittura il terrore di non riuscire a mantenere quello che aveva ottenuto fino a quel momento.
Lo stimolo di questo articolo è la riflessione personale su quanto si è in grado riconoscere la presenza del negativo come stimolo, oltre che come insegnamento. Se non ci sentiamo perfetti o felici forse è perché i modelli che ci propongono gli altri non sono i nostri, non ci appartengono ed è il momento di cercare ciò che desideriamo davvero e realizzarlo.
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