QUALITÀ: IN AZIENDA, AL LAVORO, NELLA VITA PERSONALE
Ogni parola, al di là del significato che troviamo sul vocabolario, ha un significato diverso per ciascuno. Non solo perché ognuno ha una propria accezione della parola ma anche, e soprattutto, perché dà ad ogni vocabolo un significato emotivo diverso.
Alle volte nelle aule che seguo, all’inizio del corso inizio proprio con l’aiutare i partecipanti a fare consapevolezza su questo utilizzando la parola “cane”.
Ogni persona presente pensa ad un cane diverso; oltre ad avere un’immagine specifica differente prova un’emozione diversa all’ascolto di questa parola. C’è chi sente gioia per i cani che ha in famiglia, chi nostalgia per il suo cane che non c’è più, chi paura a causa di un’aggressione passata che ha subito o visto, ecc.
La parola “qualità” non fa eccezione, più di altre ha una marcata connotazione personale.
Quando chiedi di cosa nel concreto è fatta la “qualità” ogni persona indica cose diverse: un prodotto/servizio fatto o erogato a regola d’arte, la puntualità nella consegna, l’adeguatezza del prodotto all’uso che se ne vuol fare, la cortesia del personale dell’azienda che eroga un servizio o con cui entra in contatto per un prodotto e molto altro ancora.
Cosa significa “qualità” per te?
Per me prima di tutto la “qualità” è una questione di relazione con le persone (o con le aziende) e poi di soddisfazione di bisogni, di realizzazione di desideri o obiettivi.
Proprio in questi giorni con più di venti ragazzi ho lavorato su questo argomento. Insieme abbiamo affrontato non solo il punto di vista azienda/cliente ma anche la relazione umana con questa materia. Siamo partiti da alcune definizioni accademiche per poi fare esempi concreti rispetto alla vita personale e lavorativa di ciascuno.
A livello teorico quando ci relazioniamo con qualcuno per soddisfare un nostro bisogno, fare un acquisto o per qualsiasi motivo abbiamo delle aspettative, quella sarà proprio la qualità attesa e potrà essere molto diversa da quella che giudichiamo aver ricevuto in realtà (qualità percepita).
Dall’altra parte ci sarà qualcuno che, nel momento in cui risponde alle richieste, avrà pensato al modo migliore per farlo (qualità progettata) e, nel concreto, potrà averlo fatto diversamente (qualità erogata). Alla fine ognuno penserà ad esperienze passate, le confronterà con quest’ultima e arriverà a quella che è la qualità paragonata.
Nelle relazioni personali (affettive, amicali, lavorative…) succede proprio la stessa cosa!
Conosciamo qualcuno, ci facciamo un’idea di come potrebbe – più spesso, dovrebbe – essere il rapporto (qualità attesa), viviamo la relazione e definiamo come è, se ci piace o meno (qualità percepita) e la paragoniamo a esperienze simili del passato (qualità paragonata). Non solo, perché pensando che il nostro modo di vivere la vita sia universale e corretto ci preoccupiamo di sovrapporre il nostro modo al quello dell’altro e, pensando a come vorremmo essere percepiti (accoglienti, interessati, dolci, affettuosi….) progettiamo la qualità con cui vogliamo relazionarci. Infine agiamo nel concreto e con le nostre azioni facendo diventare reale il rapporto con una speciale qualità erogata.
Non ci sono differenze tra quella che è la teoria della qualità aziendale e la vita, ma è quest’ultima che ha suggerito le definizioni che i teorici hanno utilizzato nel mondo aziendale.
Se osserviamo nel concreto questi due mondi (aziendale e personale) sembra più facile fare in modo che ci siano cambiamenti e miglioramenti nella “qualità” nelle imprese che nella vita.
L’azienda, diversamente delle persone, indaga la percezione qualitativa del proprio cliente sui prodotti/servizi, fa progetti e azioni per migliorare il rapporto con lui perché è consapevole che ne va della propria sopravvivenza.
Le persone sembrano non voler fare questo passo di autoconsapevolezza, di miglioramento. Non si mettono in discussione per poi arrivare a un miglioramento della qualità della vita, alla comprensione di cosa pensa il proprio interlocutore, di cosa si aspetta, vuole o percepisce di diverso rispetto a quello che pensano di dare.
Gli esseri umani sembrano non prendersi la responsabilità della relazione con gli altri e aspettandosi che l’altro abbia la stessa idea di “qualità” nel rapporto.
E se si cominciasse ad applicare un po’ della teoria dell’analisi della “qualità” nella vita personale?
Ad esempio:
- Fare un questionario di soddisfazione del cliente, o meglio, se si ponesse qualche domanda su come sta andando il rapporto che vogliamo con l’altro con domande chiare, spiegando e chiedendo il significato delle parole.
- Valutare i dati storici, cioè chiedersi cosa sta accadendo al rapporto, sta andando meglio o peggio e in che cosa.
- Analisi delle aspettative. Chiedere cosa è importante e ha valore per l’altro, le sue aspettative. Non sempre si vogliono le stesse cose o nello stesso momento e molte relazioni entrano in crisi proprio per questa mancanza di ascolto e condivisione.
- Preparare un piano di miglioramento. Riconoscere dove ci sono fraintendimenti o percezioni diverse, riconoscere i propri errori, preparare azioni che mettano la relazione in una prospettiva di crescita.
- Agire. Sì, perché se non si fanno azioni concrete non cambia proprio nulla, anzi peggiora.
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