La perfezione: il nostro orizzonte impossibile
Quanto più prevarrà il “tu devi”,
tanto meno vi sarà libertà.
C.G. Jung
Nella vita molti sono i limiti che si è accettato di sottoscrivere sin da piccoli.
Si tratta di imperativi, pressioni che fatte dagli adulti di riferimento e che si sono interiorizzati e che ora portano via tempo e risorse preziose, allontanano dalla felicità spingendo verso il mantenimento di una insoddisfazione continua.
Voler essere perfetti è un esempio di tutto questo.
La perfezione è un orizzonte, mano a mano che si migliora essa si allontana in proporzione: è un’illusione.
Ci si illude tutte le volte in cui si pensa a quanto si sarebbe più soddisfatti se si fosse fatta quella cosa in più, si fosse stati attenti a quel particolare, si fosse scritto quella cosa o curato l’altra.
Nei perfezionisti l’attenzione non è posta sui risultati ottenuti, ma su ciò che manca, su quanto non è stato fatto.
Questo porre l’attenzione a ciò che non c’è porta all’illusione che in futuro, migliorando ancora e ancora si sarà finalmente soddisfatti.
Si, certo che si migliorerà, tutto sarà migliore, quello che non migliorerà è la soddisfazione interiore, il riuscire a godersi le conquiste fatte.
Non permettersi errori, inoltre, porta spessissimo le persone a bloccarsi per la paura di non essere perfetti, la paura che ciò che si farà sarà in qualche modo criticabile.
Il blocco conduce anche al fermo nell’apprendimento, considerando quest’ultimo come l’insegnamento che ciascuno può trarre da qualsiasi esperienza durante la propria vita.
Solo attraverso l’esperienza, che alle volta è positiva altre volte no, si può arrivare alla realizzazione di sé stessi, alla propria unicità, al compimento del proprio scopo.
I perfezionisti nel momento in cui non ottengono, o non mantengono i risultati di performance che essi stessi aspettano entrano in profonde crisi personale. Spesso di definiscano “molto esigenti”. L’esserlo di per sé non è male, anzi; lo diventa nel momento in cui diventa lo scopo della propria attività, mentre è molto utile nel momento in cui si riesce attraverso questo moto interiore a migliorare, essendo consapevoli di questo e godendone.
La differenza fondamentale tra l’uno e l’altro è nel che caso dell’essere esigenti lo scopo che ci pone è produttivo, si fa del PROPRIO meglio e non il meglio in assoluto. In questo modo si fa un’azione di potere nei confronti di se e della vita.
Il meglio assoluto è depotenziante, porta insoddisfazione e frustrazione.
Cominciare a vedere quanta strada si è già percorsa invece che quello che manca è un punto di partenza interessante, soprattutto quando, dopo che si è notato questo, si smette si essere falsamente modesti e ci si dà una sana pacca sulla spalla congratulandosi con sé stessi.
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