Le radici fanno volare
Elsa Morante è una delle autrici italiane che ha maggiormente segnato la mia giovinezza e in particolare un libro, che ho portato poi alla maturità, mi ha accompagnato: L’isola di Arturo.
Oggi, Festa del papà, lo voglio dedicare a tutti i papà, allo scopo che ricordino quale impronta lasciano nel cuore e nella vita dei loro figli, e ai figli allo scopo di riscoprire il fascino che i nostri padri hanno su di noi con un’eredità che scopriamo nel tempo e che comunque e sempre ci fa crescere nei percorsi della vita.
Buona lettura.
“Quello che so, riguardo alle origini di mio padre, l’ho conosciuto ch’ero già grande. Fin da ragazzino avevo udito talvolta la gente dell’isola chiamarlo bastardo; ma questa parola suonava per me come un titolo d’autorità e di prestigio misterioso: quale, per esempio, margravio, o altro titolo simile. Per molti anni, nessuno mi rivelò mai niente sul passato di mio padre e di mio nonno: i Procidani sono poco loquaci, e d’altra parte io, sull’esempio di mio padre, non davo confidenza a nessuno nell’isola…
Mio padre viveva, la maggior parte del tempo, lontano. Veniva a Procida per qualche giorno, e poi ripartiva, certe volte rimanendo assente per intere stagioni. A fare la somma dei suoi rari e brevi soggiorni nell’isola, alla fine dell’anno, si sarebbe trovato che, su dodici mesi, egli forse ne aveva passato due a Procida, con me. Così, io trascorrevo quasi tutti i miei giorni in assoluta solitudine; e questa solitudine, cominciata per me nella prima infanzia (con la partenza del mio balio Silvestro), mi pareva la mia condizione naturale. Consideravo ogni soggiorno di mio padre sull’isola come una grazia straordinaria da parte di lui, una concessione particolare, della quale ero superbo.
Credo che avevo da poco imparato a camminare, quand’egli mi comperò una barca. E quando avevo circa sei anni di età, un giorno mi portò al podere, dove la cagna pastora del colono allattava i suoi cuccioli d’un mese, perché me ne scegliessi uno. Io scelsi quello che mi pareva il più indiavolato, con gli occhi più simpatici. Si rivelò che era una femmina; e siccome era bianca come la luna, fu chiamata Immacolatella.
Quanto al fornirmi di scarpe, o di vestiti, mio padre se ne ricordava assai di rado. Nell’estate, io non portavo altro indumento che un paio di calzoni, coi quali mi tuffavo anche in acqua, lasciando poi che l’aria me li asciugasse addosso. Solo raramente aggiungevo ai calzoni una maglietta di cotone, troppo corta, tutta strappata e slentata. Mio padre, in più di me, possedeva un paio di calzoncini da bagno di tela coloniale; ma, fuori di questo, anche lui, nell’estate, non portava mai altro vestito che dei vecchi pantaloni stinti, e una camicia senza più un solo bottone, tutta aperta sul petto. Qualche volta, egli si annodava intorno al collo un fazzolettone a fiorami, di quelli che le contadine comperano al mercato per la messa della domenica. E quello straccio di cotone, addosso a lui, mi pare il segno d’un primato, una collana di fiori che attesta il vincitore glorioso!
Né io né lui non possedevamo nessun cappotto. D’inverno, io portavo due maglioni, uno sull’altro; e lui, sotto, un maglione, e, sopra, una giacca di lana a quadri, usata e informe, dalle spalle eccessivamente imbottite, che aumentavano il prestigio della sua alta statura. L’uso della biancheria sotto i vestiti, ci era quasi del tutto sconosciuto.
Egli possedeva un orologio da polso (con la cassa d’acciaio, e il bracciale, anch’esso, di pesante maglia d’acciaio), che segnava anche i secondi, e si poteva portare anche in acqua. Possedeva inoltre una maschera, per guardare sott’acqua nuotando, un fucile, e un binocolo da marina con cui si potevano distinguere le navi che viaggiavano in alto mare, con le figurine dei marinai sul ponte.
La mia infanzia è come un paese felice, del quale lui è l’assoluto regnante! Egli era sempre di passaggio, sempre in partenza; ma nei brevi intervalli che trascorreva a Procida, io lo seguivo come un cane. Dovevamo essere una buffa coppia, per chi ci incontrava! Lui che avanzava risoluto, come una vela nel vento, con la sua bionda testa forestiera, le labbra gonfie e gli occhi duri, senza guardare nessuno in faccia. E io che gli tenevo dietro, girando fieramente a destra e a sinistra i miei occhi mori, come a dire: «Procidani, passa mio padre!» La mia statura, a quell’epoca, non oltrepassava di molto il metro, e i miei capelli neri, ricciuti come quelli di uno zingaro, non avevano mai conosciuto il barbiere (quando si facevano troppo lunghi, io, per non esser creduto una ragazzina, me li accorciavo energicamente con le forbici; soltanto in rare occasioni mi ricordavo di pettinarli; e nella stagione estiva erano sempre incrostati di sale marino).
Quasi sempre la nostra coppia era preceduta da Immacolatella, la quale correva avanti, ritornava indietro, annusava tutti i muri, metteva il muso in tutte le porte, salutava tutti. Le sue familiarità verso i compaesani mi facevano spazientire spesso, e con fischi imperiosi io la richiamavo al rango dei Gerace. “
da L’Isola di Arturo di Elsa Morante
Motto del giorno: Radici forti consentono di volare lontano
www.antonellacasazza.com