We want sex: Matilde di Canossa, la Regina medievale.
«Non per leggerezza femminile o per temerarietà, ma per il bene di tutto il mio regno, ti invio questa lettera accogliendo la quale tu accogli me e tutto il governo della Longobardia. Ti darò tante città tanti castelli tanti nobili palazzi, oro ed argento a dismisura e soprattutto tu avrai un nome famoso, se ti renderai a me caro; e non segnarmi per l’audacia perché per prima ti assalgo col discorso. È lecito sia al sesso maschile che a quello femminile aspirare ad una legittima unione e non fa differenza se sia l’uomo o la donna a toccare la prima linea dell’amore, solo che raggiunga un matrimonio indissolubile.»
Questa è parte di una lettera che scrissi, a quarantatré anni, al mio futuro sposo Guelfo V. Era un ragazzino di diciassette anni, il povero Duca, e fu costretto a quest’unione per una mera questione politica. Di politica è stata fatta tutta la mia vita, da che io ricordi, di conseguenza proprio non sono mai riuscita a comprendere come Guelfo V non capisse l’importanza della nostra unione, necessaria per la disfatta definitiva dell’Imperatore Enrico IV. Inutile dirvi che il matrimonio non durò più di qualche giorno, così non ebbi modo di appoggiarmi a nessun marito quando decisi, con la benedizione del Papa Urbano II, di impormi contro la calata dell’Imperatore. Perso quindi l’appoggio politico di questo Duca, soprannominato poi scherzosamente dalla mia corte Il Guelfo Pingue, e di conseguenza persa la Baviera, mi toccò sobillare non poco i figli dell’Imperatore stesso, affinché si ribellassero al padre e impedissero (o quantomeno arginassero) la sua discesa nel territorio italico ai danni della Chiesa.
Questo, miei cari, non è che uno stralcio della mia vita da regina e non è nemmeno il più conosciuto. Sono passata alla storia come colei che, priva di qualsiasi appoggio nuziale, è riuscita ad umiliare l’Imperatore, sceso a Canossa per parlare con il Papa che all’epoca era mio ospite al castello. Immagino che tutti la conosciate la storia della lotta per le investiture, quella diatriba infinità che portò Gregorio VII a scomunicare Enrico IV, mettendolo così in ginocchio e costringendolo a chiedere perdono. Ai miei tempi una scomunica non era certo da sottovalutare, perdere l’appoggio della Santa Madre Chiesa equivaleva non di meno a perdere l’appoggio del proprio popolo e quindi dei propri sudditi e del proprio esercito. Sarò stata forse crudele, severa, ma che nessuno dica mai che io non sia stata giusta nei confronti del mio regno. Appoggiai il Papa e quando Enrico IV chiese udienza al Castello di Canossa, decisi di farlo attendere tre giorni e tre notti al freddo, fuori all’aperto, sotto la neve.
Tutta fuffa per chi, come me, ha succhiato latte e politica dal seno materno fin dai primi giorni di vita. Sono cresciuta sola, perdendo ogni figura di riferimento maschile mi fosse stata donata da Dio. Mio padre morì che avevo solo sei anni (6 maggio 1052), successivamente persi anche i miei due fratelli maggiori eredi legittimi di ogni titolo, persi poi mio primo marito e del secondo già vi ho raccontato. A trent’anni, alla morte di mia madre, diventai la regina e quindi unica sovrana di tutte le terre che da Tarquinia arrivavano fino al lago di Garda.
Di essere regina io non lo chiesi mai a nessuno, ma i fatti mi ci portarono e di conseguenza dovetti assumermi le enormi responsabilità che da questa posizione derivavano. Ebbi il dovere morale di essere comandante di un esercito, sovrana di un popolo, voce delle genti e protettrice dei territori e nonostante la regola imponesse che un uomo regnasse al mio fianco per permettermi d’essere forte, il caso ha voluto che fossi io sola contro tutti, sola con le mie capacità creatrici di donna e con l’inventiva di qualcuno che di perdere una guerra proprio non ne avrebbe mai voluto sapere.
E la guerra la vinsi, eccome se la vinsi. Enrico IV aveva ben poco da sperare quando decise di mettere in atto la sua ultima discesa nei miei territori per puntare alla disfatta del Papa. Trovò una cortina insormontabile di uomini a me fedeli, capaci nell’arte bellica e favoriti da un territorio che ben conoscevano. Per l’Imperatore non ci fu nulla da fare, non riuscì nemmeno a scalfire la mia potente difesa, nonostante il suo esercito fosse davvero temibile. Non solo, perse anche la possibile benevolenza di alcune città, come Milano, Cremona, Piacenza e Lodi le quali – per sottrarsi al controllo imperiale – preferirono di gran lunga schierarsi con me.
Feci tutto da sola, questo è certo, appoggiandomi unicamente alla mia fede e al mio senso del dovere. Così riuscii tranquillamente a respingere Enrico IV e – con la benevolenza del Santo Padre – appoggiai l’incoronazione di Corrado di Lorena (figlio ribelle dell’imperatore) come Re d’Italia.
Una grande impresa, una battaglia estenuante che occupò quasi tutta la mia vita su questa terra. Senza marito, senza eredi che fossero utili alla causa, senza un padre e di conseguenza senza una figura maschile che potesse darmi gli strumenti necessari, io quegli strumenti me li sono presi da sola, decidendo di schierarmi dalla parte del Santo Padre e combattere per lui, mettendo a disposizione della Chiesa ogni singola risorsa bellica fossi riuscita a recuperare tessendo complicate trame politiche.
Voglia il buon Dio che queste mie parole non rimangano un racconto al vento, che diventino un insegnamento per tutte coloro che, dopo di me, si troveranno a dover assumere un ruolo tradizionalmente maschile. Non esiste alcuna donna a questo mondo che abbia bisogno di essere affiancata da un uomo per diventare ciò che nella vita ha deciso di diventare. Ho scelto di essere una guerriera, un comandantee un punto fermo per il mio regno, sono riuscita ad esserlo fino al giorno della mia morte: accanto a me solo Dio e la mia incrollabile fede. Di ciò che fosse la femminilità, di ciò che comportasse essere donna, io non ho potuto farne esperienza; sono cresciuta in un mondo dove sembra che tu non abbia scelta, dove prendi quello che ti viene assegnato e cerchi – con esso – di fare del tuo meglio. E ciò che è stato dato a me è un’educazione rigidamente maschile, tanto da portarmi alla negazione del mio essere donna. Agire come un uomo, parlare come un uomo, vivere come un uomo e regnare come un uomo: questi sono gli strumenti che mi sono stati dati e che ho scelto di usare per fermare la discesa di un Imperatore.
Dissi addio alle mie spoglie mortali il 24 luglio 115 a causa della gotta. Venni sepolta da Papa Urbano VIII a Roma, a Castel Sant’Angelo. Successivamente però fui onorata di un eterno riposo a San Pietro, dove molti anni dopo un artista di nome Gianlorenzo Bernini scolpì per me “Onore e Gloria d’Italia”, un monumento funerario degno di chi non ha abbassato la testa alla violenza conquistatrice di un Imperatore che non ha sputo rispettare il volere di Dio.
Dopo la sua morte, attorno a Matilde venne a crearsi un alone di leggenda. Gli agiografiecclesiastici ne mitizzarono il personaggio facendone una contessa semi-monaca dedita alla contemplazione e alla fede. Qualcuno invece sostiene che si sia trattato di un personaggio di forti passioni sia spirituali sia carnali (fu indicata come amante dei pontefici ed Urbano II). Il presente testo di fantasia, narrato arbitrariamente in prima persona, non ha alcuna pretesa se non quella di raccontare, in modo leggero, alcune tra le più famose vicende di una regina medievale. Per approfondimenti sulla vita di Matilde di Canossa si rimanda alla lettura del saggio “Matilde e i Canossa” di Paolo Golinelli.
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